I numeri sono impietosi. Eatalyworld srl, la società che gestisce il parco enogastronomico all’estrema periferia di Bologna, ha archiviato il 2019 con perdite nette di esercizio pari a 3,14 milioni di euro.
La redditività è in calo, il valore della produzione pure, ma i costi di gestione continuano a salire. La cosa più allarmante è che questi sono i numeri di un bilancio archiviato nel periodo pre-Covid, pertanto è ragionevole pensare che l’esercizio 2020 si chiuderà nel peggiore dei modi.
Se Fico rappresentasse esclusivamente l’ennesimo luna park di solitudine di Farinetti, la cosa potrebbe anche stare in piedi. Ma la situazione è molto più complessa. Il boom di visite alle fattorie e ai ristoranti non c’è mai stato. La gente non c’è, non ci va e non compra.
Avevano promesso 6milioni di visitatori all’anno; in due anni se ne sono visti meno di 5milioni e solo il 20% viene dall’estero. Dunque, sfumate le aspettative di incassi record, le cose sono andate molto diversamente. E i conti cominciano a preoccupare lo stesso presidente della Regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, che di Fico non parla mai perché consapevole della crisi di pubblico e di consenso che sta attraversando il parco di Farinetti.
C’è poi la questione più delicata, che è anche la più complessa, che ruota attorno a Ficolandia. Stiamo parlando ovviamente delle migliaia di lavoratori che tirano avanti la carretta di Farinetti e che sono stati assunti con la prospettiva di un’occupazione stabile da un radical chic di sinistra che è abilissimo a raccontare storie e far quattrini da commerciante con i soldi degli altri. Gente che per colpa di Fico, e del suo declino, rischia di essere lasciata a casa da un momento all’altro. Con tutto ciò che ne consegue.