La Procura di Bologna ha chiesto il rinvio a giudizio per due etiopi e due somali, accusati a vario titolo di finanziamento di condotte con finalità terroristiche e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Secondo gli inquirenti, questi ‘filantropi’ di Allah avrebbero raccolto e inviato denaro all’estero per finanziare gruppi terroristici di matrice islamica. Soldi che sarebbero dovuti servire per acquistare armi e munizioni, dare una mano ai terroristi e rafforzare la rete di organizzazioni combattenti e non governative in Somalia e Etiopia. Fiumi di denaro con destinazioni sospette e molto altro.
I quattro, che guarda caso erano titolari di un regolare permesso di soggiorno avendo ottenuto la protezione internazionale, hanno agito in Lombardia, in Piemonte e in Emilia-Romagna, in particolare a Forlì.
Non è la prima volta che l’Emilia-Romagna balza agli onori della cronaca per indagini di questo tipo, che svelano la presenza sul nostro territorio di pericolose cellule terroristiche affiliate a movimenti integralisti. Già da anni città come Ravenna, Bologna, ma anche Rimini, sono considerate dalle Forze dell’Ordine crocevia del fondamentalismo islamico. Semplicemente lo avevamo dimenticato, o peggio ancora ignorato.
Ma è proprio in queste occasioni che è bene rinfrescarsi la memoria. La nostra Regione, a causa di politiche filoislamiche e di un ostinato miopismo, ha aperto le braccia a centinaia di migliaia di mussulmani, consentendo l’insediamento di oltre 176 luoghi di culto e centri culturali islamici dove non è chiaro cosa si faccia e chi lo faccia.
Una scelta tracciata sulla rotta del ‘volemose bene’ a tutti i costi che, a conti fatti, non ha pagato.
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